Tra accettare e determinare c’è di mezzo il mare

27 Lug 20 | Meccanismi psicologici

Ci si trova, talvolta, alle prese con doppie verità.

Affermazioni, posizioni, idee che, ascoltate da sole, sono giuste e sagge ma che, accostate ad altre, diventano dubbie.

Nei detti popolari questo fenomeno è frequente e fa sorridere, ma anche aggrovigliare i pensieri. Chi fa da sé fa per tre, ad esempio, ma L’unione fa la forza. La notte porta consiglio, ma Chi dorme non piglia pesci, Chi si somiglia si piglia, ma Gli opposti si attraggono.

L’oggetto di doppia verità di cui voglio scrivere oggi è quello che riguarda le aspettative e l’atteggiamento nei confronti del futuro e dei propri desideri.

Le cose migliori accadono quando meno te l’aspetti, ma anche Ciascuno è artefice del proprio destino.

Le credo entrambe vere, ma sia nella sfera privata che in quella lavorativa, mi sono ritrovata spesso nell’impasse di chiedermi come sia possibile.

Si escludono a vicenda? Bisogna optare per una delle due, un po’ come quando alle urne puoi scegliere un solo partito, o esiste una qualche forma di voto disgiunto che le tenga insieme entrambe?

Non aspettarsi nulla equivale a prendere le cose come sono, cogliere i segnali della vita. Essere aperti a ciò che accade, andare avanti assecondando il flusso e benedicendo i serpenti di mare.

Cosa c’entrano i serpenti di mare?

Provo a spiegarlo. Una delle scoperte più entusiasmanti del mio percorso di specializzazione è stato il pensiero di Gregory Bateson che, in una riflessione* su aspettative e obiettivi, parla del vecchio marinaio della ballata di Samuel Coleridge.  Nel bel mezzo di una terribile bonaccia, in cui tutti gli uomini del suo equipaggio muoiono di sete e di stenti, vede in mare i serpenti e, nonostante il dramma in cui si trova, ne ammira forma e movimenti ed esclama “Oh, felici cose viventi!”. Lo fa semplicemente, senza uno scopo; ne ammira la bellezza e spontaneamente li benedice. Dopodiché si addormenta e, quando si sveglia, il vento è tornato e la nave può ripartire.

Come a dire che, affinché le cose accadano, occorre non esserne coscienti poiché la consapevolezza equivale a far diventare intenzionali alcuni comportamenti che, se sono invece spontanei, hanno il beneficio di connetterci ad una coscienza maggiore.

In questo senso prendere le cose così come sono significa avere un atteggiamento non strumentale ad un obiettivo, ma permeato da saggezza, ossia quella capacità di ricordare che le cose che comprendiamo sono infinitamente più limitate di quelle che accadono.

Sono profondamente affascinata da questa visione, ma penso anche che sia ugualmente virtuoso e sensato andare nella direzione dei propri desideri senza attendere che le cose accadano per una volontà superiore.

In fondo la visione del mondo occidentale ci ha abituato a pensare in termini deterministici e che solo attraverso la volontà possiamo renderci artefici del nostro destino.

In cerca di quel voto disgiunto a cui accennavo poc’anzi, mi viene in aiuto una metafora del mondo nautico.

Ho fatto un corso di vela qualche anno fa, non me ne sono innamorata per una serie di motivi che raccontare mi porterebbero troppo lontano da qui, ma se c’è una cosa che ho capito con chiarezza è che, tra vela e timone, non c’è un aspetto più importante dell’altro. Il timone imprime la direzione, la vela raccoglie il vento.

Andare senza direzionare l’imbarcazione diverte, eccita per un po’, per la possibilità di seguire il vento senza il vincolo dell’obiettivo, ma una volta arrivata la bonaccia ci si ritrova lontani dalla partenza e senza idea di quale sia la meta, spersi e talvolta in pericolo.

Allo stesso modo pretendere di giungere ad una meta, direzionando unicamente il timone, senza mai modificare le vele in funzione del vento significa arrivare a destinazione per pura fortuna.

La direzione è necessaria, ma ci sono variabili, nella navigazione reale e metaforica, che non si decidono; ci si può solo sintonizzare con esse.

Ostinarsi o considerarle sfortuna allontana dall’obiettivo perché rovina il viaggio e fa guardare con animosità alla meta e con rabbia al vento che non si piega alla nostra volontà.

Allora, tornando alle mie due verità, penso che siano compatibili se le si osserva con quella creatività che permette di vedere una terza via che tenga insieme il vento e le vele, la meta e il flusso degli eventi.

E in questo quadro l’assenza di aspettative non è l’assenza di speranza, ma la capacità di benedire i serpenti di mare senza pretendere che il vento soffi sempre in poppa e la direzione coincida con la nostra idea della meta.

Perché il desiderio è del cuore, l’aspettativa, per quanto umana, sta nell’ideale che ci allontana dalla realtà e da noi stessi.

 

 

*G. Bateson, M.C. Bateson, Dove gli Angeli Esitano. Adelphi, Milano, 1989.