Senza dubbi è l’arroganza

Questo post è ispirato al personaggio Donald Trump.
Della sovraesposizione alla politica americana della settimana appena conclusa, sono due gli aspetti del comportamento del presidente uscente che mi hanno fatto riflettere: la reazione alla sconfitta, coerente con molti altri comportamenti per i quali si è reso noto negli ultimi 4 anni, e il numero comunque considerevole di voti che ha preso.
Tra tutte le caratteristiche con cui non è difficile apostrofarlo, quella che stimola maggiormente il mio interesse è l’arroganza.
Quando una parola riassume ed esaurisce così diligentemente il compito per cui viene chiamata in causa, nasce spontanea la voglia di conoscerla meglio per andare a rintracciare, nel significato preciso la spiegazione del fenomeno che battezza.
Alla voce Arroganza, la Treccani riferisce: insolenza e asprezza di modi di chi, presumendo troppo di sé, vuol far sentire la sua superiorità. […] Il comportamento altezzoso, sprezzante e talora violento che spesso caratterizza chi detiene il potere.
Raramente l’arroganza è un tratto caratteriale che stimola simpatia e stima nelle persone intorno; genera piuttosto fastidio, distanza, scetticismo, sfiducia.
E’ il contrario dell’umiltà che è invece l’atteggiamento di chi, pur avendo titolo per fregiarsi di una posizione, riconoscimento o status si comporta verso gli altri da pari grado, non cedendo alla tentazione di farsi definire da una competenza o da un ruolo.
L’arroganza, insomma, è impopolare perché rende difficile provare simpatia per la persona che la manifesta eppure pare evidente che, a livello politico e non solo, possa generare un largo consenso.
Ma perchè?
Nessuno ama essere trattato dall’alto in basso.
Tutti apprezziamo la gentilezza di chi non aggredisce, non impone, non domina. Perché allora sono così popolari e frequenti i casi di persone di potere che si pongono in tutt’altro modo osteggiando noncuranza nei modi e confondendo capacità di decidere e tenacia con l’aggressività?
Parlo di personaggi pubblici che, non solo non vengono allontanati e isolati per questi loro tratti, ma che ne traggono vantaggio in termini di consenso arrivando a farne un loro marchio di fabbrica.
A ben pensarci parte della risposta è contenuta nella definizione che ho riportato sopra: “spesso caratterizza chi detiene il potere”.
Credo che il primo discrimine che serve a spiegare lo sdoganamento dell’arroganza è proprio il fatto che tali comportamenti perentori e aggressivi vengono tenuti da qualcuno che ha potere e ne fa sfoggio in veste pubblica e in modo incontrollato. In virtù di tale status l’arroganza, da deprecabile impulso, può essere confusa con quel tratto di carattere necessario ad esprimere fattività e abilità a prendere di petto le situazioni, non esitare, non essere sopraffatti dagli eventi, ma dominarli, piegarli al proprio volere, gestire le situazioni a proprio vantaggio.
Come se, di fronte ad un ostacolo, il fatto di non andare per il sottile e non essere gentili e misurati sia un effetto collaterale che, non solo si sopporta, ma che viene confuso con la forza di chi non si ferma di fronte a nulla, di chi non si fa abbattere, di chi urla più forte affinché possano essere messe a tacere paure e incertezze.
È la forza di chi affronta la difficoltà negandola, zittendola, insultandola, intimidendola.
Pazienza se non è educato, rispettoso, colto, paziente.
A livello psicologico il fascino segreto dell’arroganza sta nello sgomberare il campo da dubbi e disegnare una realtà dove il mondo non è complesso se non vuoi che lo sia.
Dove non ci sono ingiustizie se non vuoi subirle. Dove non ci sono difficoltà se sei abbastanza determinato da passarci sopra. Un mondo in cui è forte chi dà corpo alla propria rabbia trasformandola in fatti senza indugiare in inutili meditazioni e mediazioni.
E per capire il richiamo che può esercitare, penso a tutte le volte che pensiamo di non poter sopportare un minuto di più, a tutte le volte in cui ci sentiamo impotenti, frustrati, arrabbiati per una situazione che sentiamo opprimente, ma che non abbiamo mezzi per cambiare.
Sono le volte in cui può capitare di invocare un carro armato dentro la confusione per radere al suolo le ramificazioni multiformi dei problemi e ripristinare l’ordine da cui poter infine, di nuovo, trovare pace.
Penso a tutte le volte che ci comportiamo così nei confronti delle nostre istanze più vulnerabili, le nostre indecisioni, i nostri dubbi, le nostre paure.
Quelle volte in cui si arriva ad invocare un Trump sconsiderato e istintivo che rovesci tutti i tavoli di mediazione interiore e prenda in mano la situazione incenerendo gli ostacoli e gli obiettori così da sollevare dalla responsabilità e la fatica di continuare ad affrontare le difficoltà un pezzo alla volta.
Pazienza se è arrogante e ignorante. Sembra sapere come si fa.
Solo che non lo sa.
E non è difficile accorgersene.
Quello che è difficile fare quando i Trump interiori non vengono rieletti è riprendersi la libertà e la responsabilità di pensare e di decidere.
E allora penso sia il caso di tenersi la tenacia, la voglia di cambiare, il bisogno di scegliere, ma senza confonderli con l’arroganza perché, dentro di noi come fuori, alla fine, non funziona.
L’arroganza, come si è visto, può generare fiammate di consenso, ma finisce incenerita dalla sua stessa furia. Senza aver risolto un granchè.