Perché tutti parlano di #sanpa?

18 Gen 21 | Attualità

Si può parlare di SanPa da tanti punti di vista.

Da così tanti e così sfaccettati che ne stanno parlando tutti. Questo proliferare di commenti, approfondimenti, analisi e recensioni è di per sé un fenomeno che merita attenzione.
Se se ne parla così tanto è perché probabilmente c’è molto bisogno di parlarne.
Ma parlare di cosa?

A ben vedere il fenomeno della dipendenza è il fondale su cui va in scena la storia: l’epopea di un uomo forte che si è posto orgogliosamente al di sopra della legge, non per perseguire interessi propri (non materiali, per lo meno), ma in nome di un bene superiore; un uomo che non poteva concedersi il lusso di fare proprie le regole di uno stato di diritto.

La serie di Netflix “Sanpa, luci e tenebre di San Patrignano”, di cui tutti parlano, tratta non tanto e non solo della tossicodipendenza, ma delle luci e ombre, pro e contro, che il metodo di un uomo forte al comando, spinto da intenti non personalistici, porta con sé.

San Patrignano è una delle prime comunità terapeutiche nate per proporre una soluzione al dilagare del fenomeno della tossicodipendenza. La cura proposta era fatta di lavoro, disciplina e di iniezioni potentissime di amore che avevano ora il volto di abbracci, accoglienza e accettazione e ora quella di un paternalismo autoritario che subentrava laddove la volontà di guarigione dei suoi ospiti aveva la peggio e li induceva ad abbandonare il buon proposito di disintossicarsi.

A San Patrignano il patto che veniva proposto a chi entrava era di scegliere una volta sola: di entrare. Da lì in poi qualcun altro avrebbe scelto per loro. Facendo ciò che non si era ancora capace di fare: salvarsi, scegliere la retta via.

Mi ricordo San Patrignano e ricordo Vincenzo Muccioli come un personaggio controverso. Ero bambina, la tossicodipendenza e l’HIV erano argomenti di attualità, abnormi nella quantità di sofferenza che portavano in sé. Per chi si faceva, per chi si ammalava, per le famiglie, per la carica autodistruttiva e perché era una piaga che colpiva i più giovani rendendoli zombie che si aggiravano per le città, insensibili ad altro richiamo che non fosse quello delle esigenze legate al mantenimento della loro dipendenza. Vincenzo Muccioli era qualcuno che se ne occupava facendo ricorso a metodi dubbi e controversi.

Una cura, la sua, che partiva da ciò che gli diceva la sua personalità e il suo istinto, ma che non fondava su saperi o professioni di cura e aiuto che, anzi, venivano evitate professandone un’orgogliosa autonomia: gli unici ingredienti necessari ad una cura efficace erano amore e determinazione. Lo strumento:  un affiancamento/sorveglianza costante di qualcuno che ci era già passato e aveva fatto propri la logica sanpatrigano, che consisteva nel tenere duro, ad ogni costo. Essere più forte dei propri demoni, ingaggiare una guerra feroce per non assecondarli, per opporvisi fino a che il bene tornasse a fluire naturalmente nelle vene della propria vita. E la somma figura che incarnava quel bene più forte di tutto e tutti era Muccioli: un uomo che aveva le risposte, che tutti accoglieva e tutto conteneva. Qualcuno a cui guardare quando il vento della fragilità, del dubbio e del vuoto soffia forte. Un colosso che si oppone all’insensatezza e al richiamo della propria autodistruttività.
Anche lo stato, nell’assenza di strumenti pratici e di pensiero, si è affidato all’uomo forte che mostrava di sapere come fare.

E lo faceva.
Andava avanti, forte delle proprie convinzioni e del proprio seguito. San Patrignano si ingrandiva, nonostante tutto e tutti e i detrattori, o semplicemente i critici, erano bollati di volere il male, di essere invidiosi, di voler imbrigliare il bene che faceva il suo corso.

La forza della risposta che Muccioli dava al problema di un numero crescente e abnorme di persone, era tonante e potente. Io so come si fa.

Il richiamo di quel fascino è impossibile da ignorare. Ora come allora: chi non vuole risposte e cure certe?

E allora la forza di San Patrignano era quella di chi propone risposte che non vanno cercate dentro di sé ma a cui è “sufficiente” aderire. Quelle regole ci sono, esistono, ma devi essere forte abbastanza da crederci anche quando non le senti tue. E’ questa la cura. Credere, affidarti e non dubitare.

E allora forse la spina nel fianco che la docuserie di Netflix insinua e che rende così urgente e necessario parlarne, a distanza di 40 anni dalla nascita di San Patrignano e a 25 anni dalla morte di Muccioli, in tempi in cui si è smesso di parlare di tossicodipendenza, ma che di certo non sono privi di dubbi, paure e dilaganti dubbi sul futuro che fanno vacillare l’efficacia ed efficienza del sistema democratico, è proprio il fascino del metodo di questo paternalismo autoritario.

La cura è una ricetta unica, applicata con forza, metodo e determinazione, costi quel che costi, o è un sistema tarato sulla singolarità e sulla convivenza con il dubbio e il fallimento?

Per quanto mi riguarda, non sono esente dal richiamo, ma parafrasando il detto Felice il popolo che non ha bisogno di eroi, penso sia benedetta la cura che non ha bisogno di santoni.