Le cose che ci diciamo senza dirle

Tornando dallo studio ho preso un mezzo pubblico: ce ne sono due che da lì mi portano verso casa. Stessa fermata, stesso sferragliante tram, cambia un solo numero: uno mi porta vicino, l’altro molto vicino.
Dopo essermi seduta mi sono accorta di non aver fatto caso su quale dei due fossi salita così ho chiesto ai miei compagni di viaggio.
Una donna di fronte a me non ha capito e, dopo avermi chiesto di ripetere, ha tirato giù la mascherina in modo apparentemente illogico perché aveva appena finito di parlare.
L’ha tirata giù per sentirmi meglio.
Essendo noi piuttosto distanti ed essendoci rumore di rotaie, è stato intuitivo comprendere che voleva riformulassi la domanda abbassandomi la mascherina per poter fruire dell’indizio del labiale.
Ho capito senza essere consapevole di capire e l’ho abbassata quel tanto che mi consentiva di ripetere la domanda scandendo le parole.
Il tutto è durato molto meno del tempo che avete impiegato a leggere la mia descrizione dell’episodio, eppure mi ha fatto pensare a come sia naturale non solo emulare, ma stimolare l’emulazione e a tutte le cose che ci diciamo senza dircele.
Capita anche quando siamo a tavola e il nostro amico ha una briciola che rimane attaccata ai lati della bocca, facciamo il gesto di pulirci per spingere lui a fare lo stesso.
L’episodio mi ha incuriosito e così, ho riflettuto su un duplice aspetto: l’effetto emulazione e la comunicazione non verbale.
Il primo è stato chamato Effetto Camaleonte ed è quello che permette di sintonizzarci con l’altra persona e di “metterci nei suoi panni”, il più delle volte senza averne una piena consapevolezza. Questo meccanismo provoca, in pratica, l’imitazione inconscia di posture, gestualità, espressioni facciali e altri comportamenti della persona con cui si sta interagendo.
Non è certo la prima volta che rifletto sull’empatia eppure quello che mi ha colpito non è tanto la mia reazione alla richiesta analogica, non verbale, di una sconosciuta, ma il nostro scambio: involontario, inconsapevole e fugace, eppure efficace.
Voleva che mi facessi capire meglio ed io mi sono fatta capire meglio.
Il tutto senza che né io né lei scegliessimo consapevolmente né la domanda, né la risposta.
E mi sono chiesta quante domande e risposte ci diamo senza rendercene conto.
Quante volte abbassiamo una difesa augurandoci che anche gli altri lo facciano. Quante volte sorridiamo per ricevere un sorriso a nostra volta.
O, al contrario quante volte offendiamo perché ci sentiamo offesi o feriamo perché feriti.
La volontà è lineare: voglio che ti senti come mi sento io, voglio che tu capisca come sto.
E lo faccio senza sapere che lo sto facendo. Può essere un’interazione complessa o a malapena un riflesso, una microparticella di interazione, invisibile ad occhio nudo.
Io desidero che tu possa parlare senza mascherina per capirti, ergo io mi tolgo la mascherina.
In un luogo affollato, parlo piano, perché vorrei che anche tu parlassi piano, con discrezione.
Ma anche, se mi sento messa da parte perché non ti fai sentire da mesi, quando mi chiamerai, non risponderò e non ti ri-chiamerò prima di qualche giorno. Perché non avevo un minuto libero, ufficialmente, ma in fondo perché volevo che ti sentissi come io mi sono sentita durante il tuo silenzio.
Non sempre acquisiamo consapevolezza dell’emozione che ci guida, eppure, dal momento che come diceva Alfed Adler, Più cose sappiamo di quante ne comprendiamo, in qualche modo pre-cosciente la conosciamo e la comunichiamo.
Quello che succede dopo può viaggiare su canali analogici o digitali, ossia può rimanere implicita nei gesti o venire nominata.
In entrambi i casi una comunicazione avviene.
Quello che vorremmo o come stiamo è dentro di noi è possiamo capire meglio noi stessi e gli altri se, invece che incastrarci in una serie di malintesi, ci chiediamo cosa vogliamo e lo comunichiamo.
Se la nostra meravigliosa mente ci ha dotato della possibilità di comprenderci in una frazione di secondo senza che alcuna informazione venga processata consapevolmente, ci sono relazioni e situazioni in cui la consapevolezza serve a semplificare, a chiamare le cose con il loro nome e a evitare malintesi. Non è una regola aurea, eppure se un’intenzione viene esplicitata di norma è più semplice capirsi.
L’effetto camaleonte, al di fuori di situazioni immediate e repentine come il mio incontro in tram, può funzionare in ben altre situazioni e spiega, in parte, come mai ci torna indietro quello che esterniamo.
Se parlo del tempo, mi parleranno del tempo. Se parlo di come sto, avrò qualcuno che mi dice come sta e ci sentiremo più vicini e meno soli.
Quasi sempre l’imitazione è associata all’effetto gregge, quello che ci fa comportare da pecore. Eppure c’è anche del positivo nel sapere che funzioniamo in questo modo.
Il mondo può assomigliarci. È una bella responsabilità.