Indecisi e sospesi

5 Ott 20 | Meccanismi psicologici

Mi hanno raccontato una storia.
È la storia di un ragazzo che deve scegliere tra due strade.

Una, quella che sta percorrendo, è un lavoro garantito e ben pagato in un’attività di famiglia, in cui ha la possibilità di spaziare tra ruoli diversi con discreti margini di libertà e creatività, che però non lo rende felice.

Non sa dire esattamente perché. Non è il tipo di lavoro, dinamico e vario, né il rapporto con i genitori che, pur augurandosi che possa trovare nell’attività di famiglia un buon posto dove stare, non lo costringono e lo sosterrebbero comunque.

Non sa cosa sia a renderlo inquieto e insoddisfatto eppure E’ inquieto e insoddisfatto.

L’alternativa non ha ancora nome: un’esperienza all’estero o semplicemente un altro lavoro. L’alternativa è non essere lì; il resto è da costruire e, proprio per questo è così allettante.

L’alternativa è un richiamo e una vertigine al tempo stesso.

Ogni volta che sente stretti i lacci di ciò che lo tengono ancorato alla sua routine si sposta un po’ verso quell’idea di libertà che identifica con l’altrove. Il sogno comincia ad assomigliare ad un progetto e il giogo stretto della quotidianità si allenta perché si sente di passaggio e la transitorietà rende tutto più sostenibile. Quello che prima era insopportabile migliora di gusto e, in quel ritrovato comfort, si rilassa e posticipa le tappe del progetto di evasione. Tappe che implicano scelte e scadenze che, nel cammino verso il cambiamento, assomigliano ad una temibile pagina bianca.

Una pagina bianca su cui scrivere quello che gli va, con il colore che vuole.

Eppure di questi colori e di questa pagina bianca non è certo di sapere che farsene. Se lo guarda da vicino il foglio è troppo piccolo o troppo rettangolare o troppo bianco e i colori  inadatti a disegnare su quel foglio la grandezza di un’alternativa che ha contorni sfumati e ideali.
Nel momento in cui quasi si è deciso ad andare incontro all’alternativa, subentra il dubbio:E se fosse una fatica immane per costruire presupposti che ora ho già bell’è che pronti? E se si trattasse solo di cominciare a disegnare?“.

E così, come un elastico che si muove tra due punti, ogni volta che si avvicina ad un polo della scelta sente la tensione salire e il malessere crescere così da doversi spostare verso l’altro, affinché la tensione scenda e possa recuperare la lucidità che serve per sentire cosa davvero lo guidi: la voglia di evadere o quella di restare?

In questa dinamica di andate e ritorni procede in tondo invece che in avanti, consumando giorni e vita.

La storia che mi hanno raccontato era più essenziale, ma ho aggiunto immagini che potessero rendere l’idea di quanto logorante e dannosa possa essere l’indecisione.

Un’infinità di andate e ritorni che possono durare ore o anni sospendendo illusoriamente il tempo presente e amplificando un’idea di futuro eternamente rimandata a tempi migliori.
Nell’illusione di sospendere il tempo, quella che rimane sospesa è la pienezza di un presente imperfetto, ma reale; un presente che spaventa al punto di retrocedere come davanti ad un terreno che frana sotto ai piedi.

Da persona che conosce l’indecisione e da terapeuta alle prese con pazienti spinti a voler fare un lavoro su sé stessi proprio dal logorio di quelle andate e ritorni che li ha allontanati dalla loro essenza, penso ci sia un modo per tornare ad avvertire uno spostamento che non sia circolare, seppur ad una lentezza che può rendere difficile percepire il movimento ad occhio nudo. 

Un modo che non sia struggersi tra A o B, partire o restare, lasciare o continuare, cambiare o insistere, bensì, uscendo dalla logica binaria, inserire un terzo elemento che c’è sempre stato, ma che abbiamo zittito come una presenza inopportuna e petulante che ci faceva perdere tempo.
Quello che abbiamo eliminato quando la questione è diventata un esercizio intellettuale più che una questione di vita vissuta.

Un terzo elemento che facilmente tornerà a parlare quando interpellato con domande semplici e gentili che suonano più o meno così “Di cosa hai paura?”.