Il talento di far sognare

E’ morto Maradona. Cos’altro deve succedere in questo 2020?
Ho appreso da questo messaggio, arrivato in una chat di amici, che era morto Maradona.
E’ ho pensato fosse sensato accostare l’evento ad una straordinarietà inedita perchè anche se razionalmente era difficile stupirsi per la sua dipartita, a causa gli eccessi per cui il calciatore argentino era noto, emotivamente, la morte di un mito vivente, è un evento che si assimila con fatica e che scatena romanticismi e nostalgie.
Non sono un’amante del calcio. Lo sono durante i mondiali, ma più come evento di costume che mi fa sentire parte di un movimento emotivo collettivo che da amante del gioco. Di quello comprendo davvero troppo poco per riuscire ad emozionarmi e a divertirmi. Non mi assorbe, non mi conquista. Quando mi capita di guardare una partita, la successione di passaggi e scambi non mi genera alcuna emozione e per questo la visione del tutto rasenta una surreale insensatezza. E quindi la noia.
Eppure il fenomeno Diego Armando Maradona e quello che ha significato non mi annoiano affatto, anzi.
In particolare, una delle cose che mi ha sempre incuriosito è come un talento così sfacciato da potersi permettere di non allenarsi ed essere comunque il più forte di tutti, non dormire la notte prima di una partita decisiva ed essere comunque l’elemento che fa la differenza, possa insomma, uno baciato da un dono così sfacciato, suscitare tanto amore e fanatismo e così poca invidia. Ecco, se dovessi dire quale domanda mi si è formulata e mi abbia fatto sentire il desiderio di farne una redazione terapeutica è questa.
Cosa in alcuni personaggi che diventano miti scatena questa capacità sognopoietica? Sognopoietico è una parola che non esiste e che ho inventato in questo momento per indicare la capacità di generare sogni.
Perché Maradona è stato e sarà amatissimo soprattutto per questo. Per aver dato la possibilità ad una squadra e ad una città intera di sognare al punto da far scrivere fuori da un cimitero dopo una partita vinta, “Cosa vi siete persi!”; come se quei gol e quelle vittorie fossero ciò per cui valga la pena vivere.
Ho letto un articolo molto bello scritto da un tifoso del Napoli che parla delle prodezze di Maradona al di là del loro valore calcistico. Ne elogia la sua capacità di essere autentico, di prendere sul serio un’amichevole nel fango così come la finale dei mondiali per la sua capacità di andare al di là della dimensione strumentale della vittoria e continuare a considerare il gioco del calcio innanzitutto un gioco. Quella dimensione in cui i bambini sono talenti naturali per la capacità di perdercisi completamente dimenticando le coordinate spazio temporali.
E cos’è la felicità se non proprio la capacità di essere totalmente dentro a quello che si fa, nel godimento delle proprie azioni che dimenticano lo scopo e che diventano puro flusso di vita?!
E allora probabilmente Maradona è stato così’ bravo a far sognare perché non guardava sé stesso giocare, giocava e basta. Se qualcuno glielo chiedeva sapeva probabilmente di essere il più bravo, ma poco importava. E questo faceva sì che fosse anche così capace a fare stare insieme la squadra. Il talento era un effetto collaterale del suo modo di essere.
Questo lo rendeva un fuoriclasse, ma anche uno con cui era possibile identificarsi perché non collocava sé stesso in un olimpo ma in un mondo fatto di uomini dove quella dimensione di gioco era possibile.
Maradona con quel suo modo di giocare ha avvicinato la distanza fra possibile e impossibile e ha alimentato la fiducia e l’assoluta sensatezza del fantasticare.
E’ piuttosto comune un certo modo di sentirsi arrivati quando non ci si fa toccare da nulla e nessuno. Il modo di chi non si emoziona, non si stupisce e che ostenta l’invincibilità di chi non può cadere perché non è interessato a volare. Quel modo distaccato e superiore non apparteneva certo al fuoriclasse argentino. Maradona ha incarnato sempre l’entusiasmo bambino di chi crede e spera e lotta.
Perfino io osservando le sue prodezze mi diverto e mi chiedo come sia possibile far fare quelle cose ad un pallone, con quella delicatezza, incisività, efficacia. Non si capisce come, ma non importa. Rifuggiva la logica, faceva intravedere l’impossibile. E non gli interessava strumentalmente per ottenere altro.
La vita era tutta lì. In quella partita, in quel tiro, in quel momento.
Purtroppo quella sintesi perfettamente armoniosa non gli riusciva altrettanto bene fuori dal campo di calcio dove è stato invece personaggio pieno di contraddizioni e voragini, ma sul campo di pallone, tra i suoi compagni di squadra, tutto filava liscio, tutto scorreva e concorreva a costruire vittorie e sogni.
E allora rispondo alla mia domanda dicendo che il vero dono di Maradona è stato quello di avere un talento che non creava distanza ma che faceva sentire possibile e sensato, sognare, desiderare, lasciarsi andare ed è da questo che è doloroso congedarsi in questo già difficile e assurdo 2020.