La strategia del colpevole

7 Feb 20 | Meccanismi psicologici

Identificare chi ha sbagliato fa stare meglio?

Mi sono fatta questa domanda pensando a tutte le volte che ho cercato di convincere qualcuno che qualcun’altro stava sbagliando o quando sono stata io la destinataria di un’arringa in cui mi si voleva convincere della colpevolezza di qualcuno. Al di là dell’utilità del sistema giudiziario, la cui risposta a questa domanda è scontata e ha a che fare con il vivere in una società di diritto, mi sono chiesta perché, nella nostra vita di tutti giorni fuori da carceri e tribunali, sia così comune invocare giustizia e cercare di identificare colpevoli. E ho notato che il processo che quando qualcosa non va come vogliamo è naturale percorrere a ritroso gli eventi fino quando non si arriva ad un punto zero da cui le cose hanno cominciato ad andare storte a causa di un qualcosa provocato da qualcuno: un genitore, un capo, un parente, alle volte un’intera categoria sociale, partito politico, gruppo etnico o la generica società. Fatica, frustrazione, delusione si concentrano intorno a quel punto e si trasformano in rabbia, un sentimento comune e diffuso che ha, come tutte le emozioni una sua funzione, ma che quando prende il sopravvento toglie lucidità e provoca spesso più malessere in chi la prova che nella persona verso cui la si prova. E’ a questo punto che fanno la loro comparsa le ben note questioni di principio; quelle che hanno il potere di allontanare dal problema portando in primo piano il colpevole, verso cui si concentrano i sentimenti negativi. C’è un crescendo in cui le convinzioni si fanno ancora più solide e indiscutibili, altri di punti di vista non sono ammissibili perché il cammino a ritroso che è stato compiuto per arrivare fin lì ha identificato una verità a cui è faticoso rinunciare; farlo significherebbe metterebbe in crisi l’intero sistema mentre la rabbia, scomoda per molte ragioni ha di estremamente affascinante che non conosce incertezza.

Se si rinuncia a quella visione monodirezionale e a tinte forti dovremmo ammettere che la verità è una questione complessa e non un circuito binario in cui c’è il giusto e lo sbagliato, il bianco e il nero.

Si è normalmente disposti ad accettare una visione del mondo a tonalità di grigi se tutto va bene ma quando ci troviamo alle strette, sofferenti e arrabbiati, quando annaspiamo per stare a galla abbiamo bisogno di verità solide e incrollabili a cui aggrapparci per trovare un ordine nella confusione. In quesi casi la strategia del colpevole funziona alla perfezione. E’ un principio organizzatore intorno al quale prende forma una visione del mondo ordinata in cui la fatica e la sofferenza esistono per una causa specifica che può essere identificata e quindi, almeno idealmente, eliminata. Trovare il colpevole è un’attività che mette ordine nel nostro ribollire interiore di paura, delusione e sofferenza di cui la rabbia non è che una copertura.

Anche quando ci rendiamo conto che la visione a tinte nette che abbiamo maturato è soggetta ad una qualche forma di esagerazione che ci ha preso la mano è comunque difficile mollare la presa dal colpevole perché questo significcherebbe rinunciare alla verità che conosciamo per andare incontro a un territorio sconosciuto di narrazioni alternative.

Ok, non è la causa di tutti i miei mali, ma ha sbagliato.

Spesso, dopo aver analizzato l’origine di un sentimento e la complessità di un fenomeno che sembrava semplice, si arriva qui. Un punto in cui si è diventati più capaci di allargare il punto di vista, eppure non si è ancora del tutto convinti che lasciare andare il colpevole, togliergli quel vestito per fargli indossare quello più umano della responsabilità non sia una fregatura che significa assolverlo, perdere il controllo e la partita.

La responsabilità è un concetto affine, ma diverso perché rimanda a una dinamica meno passiva anche per chi, identificando il colpevole, si era tenuto prudenzialmente fuori dai giochi.

Parlare di responsabilità invece che di colpa ci mette in gioco.

Ci trasforma da spettatori ad attori chiamati ad agire, a prendere posizione. Non a caso la colpa ci fa pensare ad una dinamica infantile e la responsabilità ad una adulta.

“Se lui ha quella responsabilità, quale ho io nel cambiare le cose o, per lo meno, per stare meglio?”.

Ci sono persone che per una serie di ragioni storiche e caratteriali, incarnano perfettamente il ruolo del colpevole; non ne rimarremo mai privi lungo il nostro cammino se sono loro che cerchiamo per ordinare il nostro mondo in buoni e cattivi: il capo stronzo, il collega sociopatico, il fidanzato infedele, la madre assente o, banalmente, lo straniero. La vera sfida per il nostro benessere è riuscire a farne a meno.