“CROSSROADS”. Complessità, introspezione e narrazione.

Crossroads parla di una famiglia, parla di religione e senso di colpa, parla di rapporti umani e parla di malattia mentale.
La storia è ambientata all’inizio degli anni ‘70 in America, in un sobborgo borghese e tranquillo di Chicago dal nome sibillino di New Prospect. Nella canonica di questo sobborgo vive una famiglia di 6 componenti, madre, padre e quattro figli.
Prendo in prestito una frase dalla recensione di Doppiozero per dire che “La bellezza di questo libro è nel modo in cui l’autore penetra nelle menti dei protagonisti, consegnandoli vivi e precisi alla nostra immaginazione, e all’abilità con cui la quotidianità di una piccola famiglia dell’Illinois si intreccia ai temi universali della religione, dell’etica, dei conflitti che sempre accompagnano la crescita personale degli individui.”
Ogni personaggio è presentato in uno dei capitoli iniziali e man mano che la storia si intreccia la vita di ognuno rivela aspetti di quelle degli altri con un inevitabile e inestricabile effetto a catena che è determinato e determina la sorte di ciascuno.
Ci sono i genitori, Russ e Marion e i tre figli grandi Clem, Becky e Perry le cui vicende seguono uno sviluppo proprio ma legato a quello degli altri.
Sullo sfondo Judson, il più piccolo dei fratelli, sui cui Frazen non si sofferma e che sembra destinato ad avere uno sviluppo di vita più autonomo e meno compromesso. Graziato, perché ai margini del prisma di incomprensioni e segreti, così come rimane ai margini del racconto di Franzen.
Russ è un pastore protestante in crisi di mezz’età che venderebbe volentieri il suo regno per il sogno di un nuovo amore che lo faccia sentire vivo, visto, amabile e che riscatti un eterno bisogno di accettazione e affermazione.
Clem, fratello maggiore cresciuto nell’ombra e nell’esempio di quel padre, nel momento in cui l’aura di forza di quest’ultimo si frange, perde ogni riferimento e nel non perdonargli la sua fallace umanità si inasprisce nel desiderio di dimostrare di essere migliore e, riscattando sé stesso, riabilitare anche lui.
Becky, la prediletta del padre e popolare tra i pari, ma incapace di farsi carico della sua complessità. Vive un cambiamento così rapido e improvviso da non riuscire ad assimilare la novità dello scoprirsi diversa da ciò che immaginava e finisce vittima della necessità di dover ricostruire nuove certezze intorno a cui far gravitare la sua vita.
Marion e Perry, questi i due personaggi psicologicamente più intensi e complessi, quelli in cui Franzen concentra la sua capacità di parlare di malattia mentale facendo dell’ottima narrativa e spiegando come talvolta genio, sensibilità e fragilità possano intessersi così fittamente da farci smarrire le definizioni.
Marion nel suo andare in mille pezzi per far fronte ad un dolore soverchiante e nel ritrovare nella religione una chiave per ritrovarsi e rinascere e Perry che ricorre alla sua genialità per alimentare una razionalità con cui arginare un’angosciante mancanza di senso e quando anche quella razionalità non ha argini abbastanza alti, ricorre alle sostanze in cerca di uno stordimento “cancella-futuro”.
Di entrambi descrive mirabilmente i loro punti di rottura: quello di Marion ha l’aspetto di un interruttore capace di staccarla da sé stessa e quello di Perry un cratere che lo insegue e che solo nutrendosi della sua parte migliore si richiude quel tanto da consentirgli un’apparente integrità.
“Mentre camminava a passo svelto verso Terminal Street, con la neve che scricchiolava sotto i piedi, si sentiva inseguito da un cratere nero in espansione. […] Il cratere era apparso dopo che aveva confessato a sua madre di aver spacciato sostanze proibite […] Ma sua madre non aveva mostrato alcun interesse. L’effetto, quando Perry l’aveva lasciata alla sua sigaretta ed era sceso di sotto, era stato di renderlo indifeso contro il cratere che gli si era spalancato nella mente”
Dopo averne descritto così verosimilmente l’origine, Franzen descrive il personaggio raccontando cosa significhi portarsi appresso, dentro e intorno, quel cratere; quale effetto possa avere nel determinare comportamenti, scelte, rapporti:
“Osservare il suo potere su Larry significava spingere indietro l’orlo del cratere. Abbandonare l’idea di diventare una brava persona gli dava un senso di liberazione.”
C’è un intero compendio di psicopatologia nelle pagine di Franzen e leggendolo non si ha l’impressione di studiare ma di riuscire a addentrarsi in un mistero reale, quello della complessità della natura umana di fronte alla quale ogni tentazione di giudizio si sgretola nel capitolo successivo, quello in cui ci viene presentato l’abisso del personaggio che stavamo per additare a colpevole.
Di personaggio in personaggio, di abisso in abisso, prende vita un prisma di fronte al quale il giudizio si sgretola e si compone in storia.
I libri come Crossraods mi ricordano perché ho scelto questo mestiere e al tempo stesso perché ho sempre avuto la sensazione di imparare infinitamente di più dai romanzi ben scritti che dai manuali di psicologia; mi esalta sentire come narrativa e psicologia siano due passioni indissolubili perché rappresentano due lati della medesima medaglia:
la medaglia appesa al collo di chi vuole comprendere e per comprendere racconta, legge e ascolta storie, che siano più possibili oneste, che abbiano quel sapore inebriante del dietro le quinte della complessità di ogni persona.