Cosa farsene di una rabbia antica

8 Mar 21 | Meccanismi psicologici

-La rabbia è una delle 6 emozioni di base. Un po’ come i colori primari. Quelli che hanno una forma pura e che mescolati con altri danno luogo a una quantità infinita di colori.
Così tristezza, gioia, rabbia, paura, stupore e disgusto sono i numeri primi dei nostri equipaggiamenti emotivi.
Tutti sono risorse perché servono a preparare il nostro corpo a reagire, a comunicare a noi stessi e agli altri come stiamo e prendere decisioni di conseguenza.

Sono dei segnalatori, come quel bip che si innesca nelle macchine (non la mia, ma so che molte ne sono dotate) quando facendo retro stai per urtare qualcosa o qualcuno. Di base il bip è fastidioso ma è ben poca cosa rispetto ad arrecare un danno al nostro mezzo, o peggio far male a qualcuno.

Se però il bip diventa acuto, persistente e si attiva anche se l’ostacolo è un ombra, un granello di polvere o l’idea di un ostacolo diventa un problema in sè, al di là della funzione per cui esiste.

Fatta questa premessa generale mi interessa parlare di rabbia perché è una di quelle emozioni che sfugge maggiormente e problematicamente alla sua funzione basilare, finendo per avvelenare il rapporto con se stessi e con altri.

Mi riferisco a forme di rabbia subdole e invadenti, quelle che spesso uno ha dimenticato di avere. Sono diventate un tutt’uno con il carattere, inglobate nei modi di essere, nella diffidenza, nella polemica, nell’insidia o nell’invidia. Perso il collegamento originario con la sua origine, quel nucleo tossico di rabbia viaggia indisturbato senza il guinzaglio che lo lega alla sua causa, lo contestualizza e lo limita ad un evento.
Vaga negli anni e negli ambiti di vita, ma allo stesso tempo rimane incastrato, incapace di liberarsi. Come quegli insetti nell’ambra che risalgono a millenni fa e ci consentono di recuperare informazioni sulle specie animali che popolavano il pianeta ben prima dell’arrivo dell’homo sapiens.

Così ci sono rabbie antiche e incastrate che avvelenano rapporti e vite, e che rivelano le informazioni contenute nel loro DNA, solo se si ha la voglia e la forza di farsi delle domande.

Sono quelle che, non essendo state battezzate, sono diventate un tutt’uno con noi. Quelle che abbiamo provato in un tempo in cui le emozioni non avevano nome ed erano inseparabili dall’ordine costituito della vita.
Un bambino difficilmente dice sono molto arrabbiato con te. L’educazione emotiva che consente di fare questo genere di comunicazioni a se stessi e agli altri arriva molto dopo. Nel frattempo però non significa non avere facoltà di arrabbiarsi. Significa esserlo e non saperlo. Significa che la rabbia prende altre strade e può cristallizzarsi in modi di essere o reagire che inquinano i rapporti perché viene agita anche contro chi non ne può nulla.

Altre volte la rabbia viene indirizzata contro se stessi. E diventiamo il nostro peggior nemico. Ci priviamo di attenzioni, cura e conforto. Nulla ha importanza, a partire da noi.

Qualche indizio c’è sempre, ma la rabbia incastrata è infingarda e può infilarsi in pieghe nascoste e lontanissime dalla nostra coscienza, oppure scollegate dalla loro carica virulenta. Nel senso che quella rabbia, anche se riconosciuta, viene considerata come un problema isolato che non c’entra nulla con tutto il resto.

Alcune volte quando faccio notare ai miei pazienti  la rabbia che sento nei loro racconti, mi rispondono: “E quindi?”

Mi ha sempre colpito quella scena del film Pretty Woman in cui Richard Gere si confida a Julia Roberts dicendole di essere andato molto tempo in analisi per scoprire di essere MOLTO ARRABBIATO con suo padre.
Lo dice in un modo che suona un po’ come “Sai che scoperta!”.
Ogni volta che ho rivisto il film (parecchie), quella scena mi ha messo nella condizione di chiedermi se scoprire di essere molto arrabbiati con un proprio genitore sia poca cosa o la scoperta di una vita.

Più passa il tempo e più penso che la risposta sia la seconda: penso sia una scoperta rivoluzionaria identificare cosa ci ha fatto o ci fa così arrabbiare da snaturarci. Da farci diventare un po’ diversi da come saremmo se quella rabbia non condizionasse le nostre scelte.
Certo non è possibile né auspicabile vivere una vita al netto delle interferenze delle nostre emozioni. Siamo fatti di scelte che originano da motivazioni messe in moto da emozioni. Ma se un’emozione si muove dentro in incognito, mascherata da semplice attitudine caratteriale o voglia passeggera può portarci molto lontano da noi.
Quando in terapia rimando ai miei pazienti la rabbia che sento e loro sminuiscono, normalmente ci torno, e ci torno e ci torno ancora.

Ci sono argomenti che non si esauriscono con un “E quindi?”. L’ E quindi va abitato per un po’ fino a re-incontrare quel bambino che dirige i giochi per farla pagare, farsi vedere o difendersi da qualcuno o qualcosa.

E quindi?

Capire cosa ci rende arrabbiati. Individuare l’origine, anche se non possiamo cambiare nulla anzi, a maggior ragione. Mettere una cornice intorno alla causa della nostra impotenza e frustrazione. Circoscriverla. E maledirla anche. Non serve a cambiarla, ma rende più logico benedire tutto il resto.

Ambire alla saggezza di Tommaso Moro che invocava la forza di cambiare ciò che può essere cambiato, la pazienza di accettare ciò che non può cambiare e la lucidità di vedere la differenza.

Avere la pazienza di estrarre l’insetto-ferita dall’ambra del tempo e delle abitudini per occuparsene e spogliarla della sua carica tossica. Non tornerà a volare, ma almeno lo vedremo per quello che è: una parte del tutto.