La paura fa 2020.

28 Set 20 | Meccanismi psicologici

Con un paio di amiche abbiamo regalato ad una quarta, una maglietta per il suo compleanno. L’abbiamo scelta perché sdrammatizza qualcosa che divertente non è. Si tratta di una maglietta nera con la scritta: 2020. A Novel by Stephen King.

Il fatto che faccia ridere è una delle magie dell’ironia. Fa ridere perché è vero e non c’è niente di più arguto e comunemente considerato geniale di ciò che ci fa guardare la verità da un’angolatura insolita e leggera.

Il motivo per cui riderne è surreale è che Stephen King scrive storie che fanno paura e il 2020 ci ha fatto e continua a farci paura.

Ne ridiamo perché ridere di una cosa non la cambia, ma aiuta ad eludere il troppo pieno e ad andare avanti senza essere sopraffatti dalla preoccupazione; ne ridiamo per poter continuare a fare quello che stavamo facendo. Continuare, sempre.

Come quando sei in macchina e ti coglie una tempesta di neve. Non sai dove fermarti perché non vedi nulla, la strada è scivolosa, il volante curva come se non ci fosse attrito con l’asfalto ed è altamente sconsigliato mettersi in strada. Eppure tu in strada ci sei già e non puoi fermarti.

Non puoi fermare il tempo, fare un corso di guida sicura, imparare quei trucchetti che non hai imparato fino a lì e poi rimetterti in quella situazione preparato e con il sangue freddo che solo l’esperienza ti dà. Anche se sei neo patentato e non ti è mai successo puoi solo farci fronte. Attingere al tuo intuito, sangue freddo, buon senso e continuare. Rallentando quanto basta a darti l’illusione di avere il controllo e continuare.

In questo racconto di Stephen King che è il 2020, non possiamo fare altro che questo. Continuare, tenere botta, farci fronte.

La paura è un’emozione intensa e paralizzante, ma la paura spalmata su 8 mesi cambia forma. Diventa un impasto di normalità e stato d’allerta. Un’altalena estenuante tra la vertigine di un cambio di paradigma e l’illusorietà che tutto sia come sempre, tra la voglia di cambiare tutto e lo sforzo di mantenere le bocce ferme per il tempo necessario a decidere con ragionevolezza.

Il 2020 si è mangiato il tempo e l’ha reso una cronaca scandita di un monofenomeno che ha messo tra parentesi tutto il resto. Ieri era il 23 febbraio, primo caso (in teoria) di corona virus accertato in Italia. Confusione, caos, decreti, pandemie, quarantena, lockdown, riapertura, mascherine obbligatorie, ombrelloni distanziati, vacanze in Italia, curva dei contagi, inizio della scuola, seconda ondata in arrivo, ottobre.

E nel frattempo tutto cambia.

E ce ne si rende conto a tratti, connessi a Skype quando prima eravamo in una sala riunioni. Passando di fronte a serrande abbassate. Parlando con chi ha perso il lavoro o l’ha ridotto drasticamente. Salutandosi con il gomito, tornando trafelati a casa perché abbiamo dimenticato la mascherina. Compilando auto-dichiarazioni in cui ci si assume la responsabilità di non avere la febbre. Facendo i conti con un futuro più incerto e meno garantito del solito dove la necessità di controllo cresce proporzionalmente alla sua impossibilità.

Essere dentro ad un cambiamento non significa averne percezione minuto dopo minuto e non tutti lo viviamo allo stesso modo. Gran parte della diversità nel viverlo dipende dalle garanzie della propria esperienza soggettiva e dalla famigliarità con lo stare su un canotto in acque agitate.

La situazione cambia profondamente a seconda che tu sia un ristoratore, un dipendente pubblico o un disoccupato.

Un po’ come la differenza che c’è tra trovarsi in mezzo al mare su un canotto o sulla terraferma a guardare le onde infrangersi sugli scogli con la tranquillità di poter comunque tornare al riparo.

Eppure che tu sia sulla terraferma o nel mare che impazza le cose cambiano per tutti ed è bene interessarsene, anche passando da una risata. Parlarne, connettersi perché, che si diano le spalle al mare in tempesta o si stia svuotando la barca con un secchio per non affondare, questo cambiamento riguarda tutti e conviene rimanerne in ascolto per continuare ad avere il coraggio di andare avanti.

Che coraggio non è contrario di paura, ma solo quel modo di gestirla che contempla il guardarla bene in faccia.