Come funziona la negazione (e cosa c’entra con Via col Vento)

Durante la settimana appena passata è diventato un caso la scelta della HBO di togliere Via col Vento dal catalogo dei film disponibili perché contenente messaggi razzisti.
La considero una scelta sbagliata generata da un intento giusto.
L’intento è quello di scoraggiare il razzismo. La scelta va nella direzione di una negazione.
Tecnicamente la negazione è quel meccanismo in cui “Il soggetto nega attivamente che un sentimento, una reazione comportamentale o un’intenzione (riguardante il passato o il presente) sia stata o sia presente.” *
Serve per alleviare la vergogna, il disorientamento, la difficoltà di tenere insieme un’esperienza o un modo di essere che non riusciamo ad accettare e integrare con il resto della nostra vita.
Di fronte ad un compito troppo complesso, prendiamo una scorciatoia e neghiamo una parte della nostra responsabilità per costruire un senso che ci faccia sentire e funzionare meglio. Non in un modo superficiale, tipo bugia, ma in un modo profondo e sostanziale. La mente ha poteri straordinari quando deve difendere il fortino.
Può causare dei problemi con gli altri perché chi sta vicino a chi nega può pensare che lo faccia deliberatamente.
Di fatto, l’intenzione non è cosciente e non è quella di nuocere ad altri ma di proteggersi, come la definizione, meccanismo di difesa, suggerisce.
Succede, ad esempio quando ci raccontiamo come persone senza paura per negare che si è spaventati a morte da qualcosa, quando ci pensiamo vittime di una situazione negando la nostra co-responsabilità nell’averla creata o quando viviamo qualcuno come eroe o demone negandone altre caratteristiche che modificherebbero il ruolo che riveste per noi.
Nelle scuole di psicoterapia insegnano a riconoscere i meccanismi di difesa, senza smontarli prima che la persona possa stare in piedi anche senza. Smantellare le impalcature ad una struttura che ancora non ha ancora eretto pilastri per stare su da sola può essere molto dannoso.
Così come continuare a lasciarle quando se ne potrebbe fare a meno rende una casa confusa e sgraziata e impedisce alla luce di entrare.
La negazione, come altri meccanismi di difesa, non è, in assoluto, il male che va eliminato. Alle volte negare è utile, addirittura indispensabile.
Altre volte è ottuso e nocivo, come penso sia il caso della scelta di mettere al bando dall’oggi al domani un film epocale perché veicolo di contenuti razzisti.
Eliminarlo dalla vista non lo elimina dalla storia e apre la via ad un approccio revisionista che mantiene le cose esattamente come sono.
Quel film è stato scritto, realizzato, premiato, visto milioni di volte e la domestica nera, buona, ma così scema da utilizzare i verbi all’infinito come per congenita incapacità di apprendere, è uno stereotipo che c’era e che, sotto sotto, c’è ancora oggi.
Le rivolte che stanno scuotendo l’America predispongono a vedere Mamy con occhi nuovi, più attenti e capaci di identificare un modo di raccontare la storia e riderne che ha permesso ad un uomo violento in divisa di interpretare il proprio lavoro in modo criminale.
Come se Mamy non fosse che l’inizio di un piccolo strappo nella carta da parati e che, se continui a staccare, svela un muro enorme e marcescente di pregiudizi razziali che continuano ad alimentare, in modo subdolo e diffuso, il razzismo.
To face dicono gli inglesi in una sola parola per dire affrontare qualcosa e guardarlo in faccia, con quell’immediatezza entusiasmante della lingua inglese.
To face with Mamy, penso che sia la scelta da fare.
Possiamo anche togliere quel ricordo, quel modo di essere, quell’emozione dalla piattaforma delle cose che vanno in onda, ma non prima di averne colto il significato e averlo reso parte di una storia. Non prima di averlo guardato in faccia.
A maggior ragione se è una questione che, per quanto datata, arriva fino a noi.
*V. Lingiardi, F. Madeddu, I Meccanismi di difesa. Raffaello Cortina Editore, Milano 1994.