Andare in psicoterapia significa spaccare il capello in 4?!

15 Nov 19 | Psicoterapia

Succede spesso, passato l’entusiasmo iniziale per quello spazio privato e nuovo che è la stanza d’analisi, in momenti di stanchezza e stasi, di perdere fiducia e motivazione per il percorso terapeutico.

I segnali sono abbastanza classici e vanno dal ritardo, alla seduta mancata, a frasi, come “Non saprei cosa dirle oggi, sono successe sempre le stesse cose di cui le parlo ogni volta”, per arrivare alla vera e propria ammissione di incertezza circa la strada che si sta percorrendo.

Alle volte ciò che scoraggia è la mole di lavoro che si vede davanti. Passata la sbornia delle prime consapevolezze circa i propri meccanismi e circuiti chiusi si arriva talvolta a pensare che la terapia sia più che altro una questione speculativa e mentale. Un bell’esercizio che serve a capire il dietro le quinte del nostro funzionamento.

“Ah, ecco perché mi arrabbio sempre quando qualcuno mette in discussione il mio lavoro!” E’ perché mio padre ha sempre criticato ogni cosa facessi e ora quella sensazione dolorosa di non essere abbastanza è diventata rabbia.”

“Questa cosa mi capita sempre, non mi faccio coinvolgere nelle relazioni per non esserne deluso, gioco al ribasso per essere rassicurato, ma così facendo la mia paura diventa una profezia che si auto-avvera.”

E poi, una settimana dopo l’altra, ci sono i giorni, le abitudini, le relazioni e i contesti di sempre e la consapevolezza che ha illuminato la strada all’inizio comincia a vacillare, come i cali di tensione prima dei temporali.

Accade inevitabilmente perché andare nella direzione di ciò che davvero desideriamo non è solo questione di giuste intuizioni, è un lavoro lento e faticoso. Chiunque affermi che la psicoterapia non fa fare fatica è un abile venditore perché la psicoterapia, come la realizzazione di qualsiasi progetto ambizioso, è faticosa e ha bisogno di tempo.

Quando lo si realizza, per davvero, senza ripeterlo come una frase fatta ma avvertendo dentro di sé ogni sillaba del suo significato, può accadere che ci si scoraggi e si dubiti che tutta la fatica fatta di tempo, di energia, di soldi valga la pena.

“Davvero analizzare i miei comportamenti, le mie emozioni e il mio passato mi porterà da qualche altra parte?

Quando i miei pazienti mi fanno questa domanda tremo. Tremo perché una parte di me dubita con loro. E pensa che forse davvero a quel bivio di qualche chilometro prima si sarebbe dovuti prendere la strada in discesa perché quella che si sta facendo continua a salire e il sentiero è stretto e il panorama in certi punti non è mozzafiato come quelle valli incantate dell’inizio in cui ogni scorcio era un regalo. Non sono una persona senza dubbi e quei dubbi li ho anche come professionista. Sono dubbi esistenziali e penso non possano scomparire. Fanno parte di quelle ambivalenze di cui ci si cura nella stanza di terapia. E so che quel punto interrogativo non smetterà mai del tutto di palesarsi sul mio sentiero, talvolta sotto forma della domanda di un paziente.

C’è un ma, ed il ma che risponde alla domanda del titolo.

L’analisi non è spaccare il capello in 4; l’intuizione che disvela un significato, è solo una quota di quello che accade. Non è un’attività cerebrale e meditativa. E’ una relazione con una persona che sta lì mentre fatichi, dubiti e scalci. E’ qualcuno che guarda in faccia te e le tue paure, anche quando tu torneresti alle soluzioni che hai sempre adottato per gestirle, perché la barca che ti porta verso modi nuovi, imbarca acqua e la riva è molto più lontana di quello che inizialmente avevi immaginato. Quando ci si sente così non è il ragionamento l’attività che riesce meglio, anzi, la si svaluta attribuendole il valore di ciò che è superfluo. Le intuizioni, la comprensione, le dinamiche interiori e interpersonali – ciò che all’inizio emozionava – diventano in quei momenti una minestra riscaldata che non ha più sapore e non sfama.

Quando si arriva in quella bonaccia dove non soffia alito di vento che ci spinga da qualche parte c’è una sola cosa da fare, ed è quella per cui serve essere in due in una stanza. Serve fiducia, fiducia nella terapia, in sé stessi e nel cambiamento.

E’ quella fiducia che talvolta vacilla a fare la differenza nell’economia di un percorso di psicoterapia perché ha a che fare con il sentire più che con il comprendere. Quando sentiamo di essere andati avanti e di aver saputo rimettere la barca in movimento rimanendo connessi con la fatica, con il vento e con le vele, l’ebbrezza del vento in poppa ha il sapore di qualcosa di meritato e di realizzato.

A quel punto si può anche smettere di analizzare perché quella quota di fiducia che abbiamo preso in prestito per superare la bonaccia, fa ormai parte di noi.