Anche oggi, lo faccio domani. A cosa serve procrastinare.

Perché procrastiniamo?
Questo è un argomento su cui mi sento particolarmente ferrata.
Era l’argomento della scorsa settimana, ma ho procrastinato così a lungo nella redazione del post che infine è stato troppo tardi.
Per quanto mi conosca e conosca questo funzionamento non riesco ad allontanarlo da me. In qualche modo contorto e assurdo mi serve.
Mi serve per difendermi.
Da cosa?
Dalla paura di sbagliare, di non riuscire, di farsi trasportare su terreni sconosciuti, da un concatenarsi di eventi che può prendere il sopravvento.
Per quanto paradossale possa sembrare, dal momento che il fare è certamente più produttivo e strategico dell’ozio, l’inattività può proteggerci, facendoci rimanere nel comfort dello status quo.
Procrastinare è in parole povere un meccanismo di difesa.
I meccanimi di difesa sono quelle strategie che mettiamo in atto per allontare un sentimento o una sensazione che ci fa soffrire, un conflitto con altri o con noi stessi, una verità scomoda.
Possono assumere contorni molto arzigogolati e bizzarri, ad esempio possono farci lamentare tantissimo di qualcosa per non doverla in realtà cambiare mai. Possono negare una verità che è proprio davanti agli occhi, possono addirittura farci diventare come qualcuno che detestiamo e di cui abbiamo paura pur di avere la sensazione di controllare quella paura.
Li ha teorizzati per primo Freud che parlò di rimozione, sua figlia Anna Freud e altri ne misero in luce molti altri. Ci sono meccanismi di difesa più sofisticati e altri più primitivi, alcuni che non si smascherano facilmente, altri che vengono via con uno straccio per la polvere, a patto di aver voglia di togliere la polvere.
Questo della procrastinazione appartiene a ques’ultima categoria, eppure può essere molto insidioso e agire da vero e proprio sabotatore, anche per una vita intera.
Si rimanda qualcosa che, non soltanto si può o si desidera fare, ma che dopo averlo fatto ci farebbe stare meglio e senza sensi di colpa. Eppure talvolta ci difendiamo anche dalla nostra stessa realizzazione. Lo facciamo perché non si ragiona né agisce sempre in maniera logica. Spesso lo si fa in maniera contradditoria e ambivalente: due passi avanti e uno indietro.
Andare nella direzione di ciò che si desidera espone al rischio di una delusione e di perdere qualcosa di caro.
Nel mio specifico caso ciò da cui mi difendo è la possibilità di sbagliare. Sono un po’ di settimane che la stesura dei miei post incontra una resistenza piuttosto spinosa e ben equipaggiata di proiettili nel caricatore della dialettica interiore.
Dice più o meno così: ma chi se ne frega di quello che scrivi o di quello che pensi. Il mondo può vivere tranquillamente senza il tuo post del lunedì. Quello che hai da dire non interessa e non serve.
Questa sensazione mi ha accompagnato fin dall’inizio e ha rappresentato la difficoltà più grande a frenare l’uscita del blog. Con il tempo l’ho ridimensionata, ma mai tacitata una volta per tutte. Ciclicamente torna a farsi sentire ed il fatto che l’abbia fatto proprio nella settimana che avevo deciso di dedicare al meccanismo della procrastinazione l’ho trovato quanto mai coerente con il problema.
Procrastinare non semplifica la vita, anche se ci fa sentire come se lo facesse perché ci dà l’illusione di guadagnare tempo prezioso per avere maggiore preparazione e quindi controllo su ciò che succederà una volta che esporremo noi stessi al mondo e alla vita con tutte le sue emozioni e i suoi rischi.
Ci dà l’illusione di avere una maggiore margine d’azione sul tempo, ma in realtà è il tempo a decidere per noi, con le sue scadenza e opportunità mentre noi cerchiamo di tenere a bada le nostre emozioni.
Agisce anche sulle nostre leve, sfiancandoci a tal punto da far vacillare la motivazione per qualcosa che fino a poco tempo prima desideravamo ardentemente. La forza della procrastinazione fa diventare irresistibile una gratificazione immediata invece di un progetto a lungo termine.
Per utilizzare uno schema noto*, quello messo a punto dal presidente Eisenhower che divise le cose da fare in base a urgenza e importanza, è facile osservare come nella tranquillità di una visione a distanza non si hanno dubbi su dove concentrare le proprie energie (chiaramente nei riquadri 1 e 2) , ma nell’immediatezza di un’emozione, i concetti di importante e urgente si confondono un bel po’ e finiamo per sguazzare indisturbati nel quarto riquadro.
Che fare quindi?
Procrastinatori di tutto il mondo uniamoci e sovvertiamo l’ordine costituito dal buon senso e da Eisenhouer!
…
Magari fosse così facile.
Anche senza buon senso e Eisenhower questa brutta abitudine allontana da noi, quindi nessuna massa critica può funzionare.
La soluzione più immediata e sensata a cui ricorrere è la disciplina che però può ben poco contro lo smarrirsi del senso di ciò che stiamo facendo, se la lasciamo da sola con il suo armamentario di agende, planning, sveglie e promemoria.
Va abbinata alla consapevolezza e alla tolleranza. La consapevolezza di sapere che quella tendenza fa parte di noi e che non pregiudica la forza dei nostri obiettivi, e la tolleranza di riprendersi per mano ogni volta e dirsi, con gentilezza, “Sarebbe bellissimo continuare a sostare in questa area ristoro del viaggio della vita, ma dobbiamo proprio andare avanti. Non abbiamo tutto il tempo del mondo.“
*tratto dal sito Wait but Why di Tim Urban. https://waitbutwhy.com/2015/03/procrastination-matrix.html