3 domande (x2) sulla psicoterapia ai tempi del Covid

Ho voluto parlare di psicologia e psicoterapia in tempi di Corona Virus con una collega.
Si chiama Caterina Laria e ha anche lei un blog che si chiama Psicolinee.
Tre domande le ho fatte io a lei e tre lei a me.
Questa la conversazione che ne è venuta fuori.
Michela: Si parla molto del fatto che ci sarà più bisogno di noi psicologi e psicoterapeuti per superare il trauma generato da tutto questo. Lo pensi anche tu?
Caterina: Io penso ci sarà una necessità di “aiuto” e ci sono già studi sull’impatto del lockdown che lo confermano (questo inglese e questo cinese, per esempio) .
Il problema però sarà indirizzare le persone a formulare correttamente la domanda e ad accedere a questo tipo di aiuto.
M: Cosa intendi?
Penso a due tipi di difficoltà, una più culturale di chi magari, pur manifestando sintomi come insonnia o ansia, non penserà di doversene occupare, ma solo aspettare che passino da soli e non arriverà a chiedere aiuto.
E poi penso alle difficoltà invece prettamente logistiche di chi, pur arrivando a voler chiedere aiuto, non saprà da chi, in quale tempo e/o con quali soldi.
Michela: pensando invece alla psicoterapia on line, di cui tanto si è parlato e si parla, pensi che ci siano anche aspetti positivi in questa forma di seduta? Ad esempio, ci sono cose più facili da dire a distanza?
Per me la terapia on line non è una novità e il primo aspetto positivo che le riconosco, anche prima dell’emergenza covid, riguarda la possibilità di continuare il lavoro, in caso di trasferimenti o trasferte. Penso agli studenti fuori sede che rientrano nel loro paese di origine, d’estate o a trasferte di lavoro.
Da un punto di vista clinico, più che in video-call, dove comunque il contatto visivo rimane, penso ci siano cose più facili da dire al telefono o via messaggio.
Questo capitava anche prima ed è capitato più spesso in quarantena. Il cambio di setting può confondere spazi e tempi e ridurre la “sacralità” della seduta. Io nè scoraggio, nè incentivo questi messaggi. Li accolgo, ma rispondo durante la seduta. Riporto il tema alla sua sede naturale, incoraggiando ad affrontarlo “a viso aperto”.
Michela: Non pensi che ci sarà anche un altro effetto del lockdown ossia il trauma di coloro che in questo ritiro sociale hanno trovato il pretesto per scollegarsi da un mondo in cui già prima facevano fatica ad integrarsi e adesso hanno il timore di tornare alla normalità?
Caterina: E’ una riflessione interessante.
Effettivamente ci si concentra forse troppo su ciò che la quarantena ha tolto e troppo poco su tutte le cose rimaste in sospeso o interrotte, i rientri nel guscio che questa sospensione ha incentivato.
Penso a chi aveva intrapreso una relazione più sana con il proprio comportamento alimentare e che adesso, tra la difficoltà a fare la spesa normalmente e il sovvertimento dei ritmi ha “riabbracciato” le vecchie abitudini disfunzionali.
O a persone che erano ad un punto doloroso della terapia e hanno colto l’occasione per non affrontare l’argomento e chiudere.
La quarantena ha congelato le decisioni di coloro che stavano guardando in faccia una difficoltà e si stavano preparando, non senza paura, ad affrontarla, convincendoli a fare un passo indietro più che uno in avanti.
Coppie in crisi che hanno tenuto insieme relazioni per la paura di rimanere da soli proprio in questo periodo; studenti che erano sul punto di cambiare un percorso di studi che non sentivano proprio, ma che nel caos hanno continuato con l’esame successivo.
D’altro canto, la terapia sistemica insegna ad introdurre un cambiamento alla volta ed essendoci in corso una così grande sovversione dello status quo, ogni altro cambiamento è difficile da mettere in campo.
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Caterina: e tu pensi sia cambiato il nostro lavoro a seguito della pandemia?
Michela: per il momento quello che vedo è che il lockdown e l’isolamento conseguente, più che produrre disturbi specifici, hanno amplificato quelli pre-esistenti. Un po’ come svegliarsi di notte con una preoccupazione. Non che alla luce del giorno sparisca ma, nel silenzio della notte, senza il contesto del tran tran quotidiano, i problemi fanno un rumore assordante e occupano tutto lo spazio.
Le settimane dal 10 marzo ad oggi, mi paiono un po’ l’equivalente di quella notte. Ora comincia ad esserci un po’ di movimento, ma lo stato d’allerta non è svanito.
Caterina: e tu quali tue risorse hai scoperto in quarantena?
Michela: Mmmm. bella domanda. Sono una persona estremamente dinamica. Faccio gran uso dei miei mezzi di locomozione: bici in città e auto per spostamenti fuori porta nel week end. L’immobilismo a cui il lockdown a cui ci ha costretto mi preoccupava, pensavo mi avrebbe fatto sentire un leone in gabbia. Ho scoperto però di poter percorrere distanze infinite spostando le dita su una tastiera o girando le pagine di un libro. Ho letto molto e scoperto cose interessantissime in rete.
Caterina: Tutto questo ha influito sulla tua attività di blogger?
Michela: L’influenza da questo punto di vista è stata più che positiva.
In queste settimane ho dato libero sfogo alla mia passione per la comunicazione che sarebbe stata la mia strada se non avessi scelto psicologia all’università. Quello di comunicazione è un concetto che mi è caro da tanti punti di vista, quello che ha a che fare con il nostro mestiere e che nella nostra formazione sistemica abbiamo studiato a fondo, ma anche comunicazione come medium e modi di arrivare agli altri. Ho seguito webinar e dirette, letto articoli e testi sull’argomento e tutti questi stimoli mi hanno fatto venire idee per il blog, la newsletter settimanale e i social. Per il momento bolle ancora tutto in pentola, ma fra qualche tempo spero di riuscire anche ad apparecchiare la tavola!
Mi appassiona la sfida di riuscire a comunicare il nostro lavoro e il nostro mondo in modo semplice, ma non semplicistico.